Day 810

Generazione Boh

Oggi, addì 11 luglio 2017, il quotidiano La Repubblica, nella sua veste online, riporta la seguente notizia: ci sarà a Genova un concorso, per entrare a lavorare nei vari ospedali come infermiere. Di per sé non dovrebbe far notizia una cosa del genere, se si esclude ovviamente i diretti interessati, ma in realtà è una fotografia eloquente della nostra generazione. Quella nata a cavallo degli anni ’80, che oggi prega per trovare un lavoro ed è disposta ad umiliarsi per averne uno. A questo concorso si sono presentati DODICIMILA candidati, a fronte di DUECENTO posti. Un ottimo e solido 0,016% di possibilità di entrare.

Siamo una generazione storta, formata dall’ignoranza e dall’inesperienza. Ma di chi è la colpa?
Non capiamo il reale valore dei soldi e spesso del lavoro. Ma di chi è la colpa?
Se la generazione prima di noi, non ci ha trasmesso alcun valore sociale, non ci ha insegnato il senso civico, perché volete incolpare noi?
Quando vi barricate dietro alle frasi fatte tipo: “voi giovani di oggi volete tutto e subito”, di preciso a quale tutto e quale subito vi state riferendo?
Quando una ministra ci dice che la nostra generazione è “choosy” fondamentalmente a cosa vi riferite? Alla nostra voglia di lavorare? Ma se non ci permettete di lavorare perché ci avete fatto studiare?
Perché ci avete ingannato con la storia del diploma e dell’università, se neanche una laurea ti permette di avere una vita dignitosa? Però quando usciamo da scuola abbiamo quasi 30 anni, e siamo troppo vecchi per essere apprendisti e troppo inesperti per poter lavorare.
Quando eravate nei posti pubblici e mangiavate lo stipendio, di preciso a cosa pensavate? Adesso che i soldi non ci sono più, non vi sentite in colpa?

Ci avete mangiato e distrutto il futuro, adesso pretendete di insegnarci a vivere.

A voi dirigenti politici, che dal vostro scranno tentate qualcosa per noi giovani, presentatevi a un concorso come quello di oggi a Genova. Provate a farlo. Provate a vivere con i genitori anche oltre i 30 anni. Provateci. Provate a capire cosa vuol dire mantenere una famiglia con 700 euro.
Dateci l’esempio che ci è mancato. Non è mai troppo tardi per farlo. E chissà, forse vi renderete conto anche del male che ci avete fatto.

 

Non ci fermiamo alle precedenze
Ma ci fermiamo alle apparenze
Abbiamo più punti interrogativi che punti di riferimento
Guardiamo tutti le stesse cose
Indossiamo gli stessi vestiti
Mettiamo le stesse scarpe
Siamo specchi che non riflettono
Prigionieri del presente in un paese senza futuro
O reagiamo o ci troviamo a cucire l’orlo del baratro
E a quel punto i rimorsi faranno più male dei morsi

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Day 776

Lei c’ha capito qualcosa, professore?

Professore, sono passati un po’ di anni, undici per la precisione, ma ancora ricordo bene della scuola, del liceo, della maturità. E mi ricordo di Lei, del suo essere talvolta sopra le righe, dei suoi occhi che si illuminavano quando toccava argomenti sensibili e controversi della storia contemporanea. Oggi anche Lei è cambiato, ha trovato altri modi per esprimersi che personalmente piacciono di meno, ma non si offenda professore, la stima che ho coltivato per lei in quei 5 anni, rimarrà sempre immutata.
Si ricorda l’enfasi che metteva nello spiegarci a noi studenti, inconsapevole pubblico più o meno voglioso di apprendere, la storia? Forse non gliel’ho mai detto, ma quello che mi piaceva di Lei non era solamente ciò che diceva durante quelle lezioni. Quello che mi ha sempre permesso di ascoltarla con interesse fuori dal comune era la sua passione nel raccontarci alcuni eventi, alcune vicende storiche critiche.
C’era, però, una materia in cui Lei dava il meglio in assoluto: educazione civica. Troppo entusiasmo in poche lezioni, ma fondamentali.

Sa professore, crescendo ci troviamo davanti a situazioni che ci mettono alla prova e ti costringono a cambiare idea su quello che era un tuo punto fermo a 18 anni. Improvvisamente ti ritrovi a 30 e guardandoti alle spalle ti chiedi come hai fatto a essere stato così ingenuo. Questo perché le persone cambiano, per fortuna, ma con loro cambia anche la società, dal momento che sono le persone che creano la realtà in cui viviamo e non viceversa, come spesso tendiamo a credere.
E mi creda professore quando le dico che negli ultimi 11 anni la società in cui viviamo non solo è cambiata, ma si è rivoluzionata proprio.

La parola d’ordine di ieri era: appartenenza. La parola d’ordine oggi è: fluido.

Fluidi come se fossimo un liquido che, rovesciato dal suo contenitore, tende a ricoprire tutte le forme che incontra senza averne una precisa.

Si è fluidi a livello sessuale, professore, perché dire etero è offensivo, dire omosessuale è discriminatorio, dire bisessuale poi non ne parliamo. Allora si è fluidi, perché vuol dire tutto senza dire niente. Ed evitiamo il giudizio.

Si è fluidi a livello musicale, professore, perché ormai la musica si fa solo per fare soldi e quindi tende ad omologarsi.

Pensi, professore, che siamo riusciti a rendere fluido anche il 4-4-2, che talvolta diventa 3-5-2 in fase di possesso fino ad un definitivo 3-2-4-1 sottoporta e un 5-4-1 in fase di copertura, con le ali che non esistono più perché si chiamano esterni, possibilmente attaccante esterno, con lo stopper che oggi è diventato centrocampista di quantità (????) e la punta che gioca da “falso nueve”. Come se tutto ciò avesse un senso.

Pensi, professore, che siamo riusciti a renderci fluidi anche a livello ideologico, perché ormai professarsi di destra o di sinistra puzza di vecchio, allora io non sono né di destra né di sinistra. Sono Fluido. Se dice una cosa giusta quello di destra allora sono di destra, altrimenti sono di sinistra. Mai ci poniamo il dubbio se colui che sta parlando creda realmente in quello che sta dicendo.
Però, professore, le chiedo: ma rifiutarsi di stare una parte, o dall’altra, della barricata, non è forse essere noi stessi una barricata? Un muro vuoto e asettico senza pensiero pensante, ma alla deriva di correnti di pensiero più o meno di moda? Non vuol dire rifiutare le proprie responsabilità e le conseguenze che da essa derivano?
Sa qual è il problema oggi professore? Che abbiamo perso identità.

Si ricorda cosa diceva Gramsci, professore? Lui odiava chi non parteggiava, perché nella vita abbiamo l’obbligo di essere partigiani. E mi creda, sono tutt’oggi d’accordo. Ma con chi dobbiamo parteggiare?
Oggi sento e leggo, prevalentemente su internet perché ormai le persone parlano solamente li, di odio, di vendetta, di crudeltà e di rancore.

Io mi ricordo di Lei, professore, che ci spiegava la piaga più becera del nostro secolo: il razzismo. Che la nostra costituzione ci tutela, ma ancora oggi sento parlare di negri, froci, zingari, ebrei, usare la parola musulmano e maghrebino in senso negativo. Ma non le sembra paradossale professore?

Io mi ricordo di Lei, professore, che durante educazione civica ci spiegava la bellezza di abitare in uno Stato di diritto, però poi leggo di persone più o meno autorevoli che, in nome di quello Stato, dall’alto della sua poltrona comprata, vogliono sparare in mare a rifugiati di guerra che magari provano a cambiare vita, con un viaggio della speranza, neanche per sé, ma per il figlio che tengono in braccio. Professore, ma Lei non affermava che la costituzione riporta qualcosa in merito?

Io mi ricordo di Lei, professore, che ci spiegava la differenza tra un parente di una vittima di mafia che vorrebbe farsi giustizia sommaria e lo Stato che deve garantire una pena rieducativa. E che quindi rieduca alla civiltà sia il criminale sia la vittima. Però, professore, le sembra normale che alla luce degli ultimi aggiornamenti su Riina, nessuno invochi il benché minimo diritto per questa persona, ma anzi ci sia una sete di giustizia frustrata che ha una qualche somiglianza con pensieri da ventennio? Professore, ma perché l’unica persona che dovrebbe parlare e potrebbe dare una lezione di etica, morale e civiltà, ovvero il presidente della repubblica, proprio lui sta zitto su questo argomento? Perché rifugge le proprie responsabilità pure lui? Ma da che parte bisogna stare, professore?

Professore, ma perché la parola in questo paese la devono prendere quelli che questo paese lo vogliono distruggere? Perché, professore, nel giro del governo si trovano solamente persone vuote, ignoranti e stupide? Come hanno fatto professore? E’ colpa nostra? O forse è la costituzione che lo ha permesso?
Professore come facciamo a maturare senso civico se ce lo stanno togliendo un grammo alla volta, un giorno alla volta?

Vede, professore, io le ho citato Gramsci, le potrei citare anche Brecht e il suo pensiero sul pregiudizio.
Penso a Beccaria che dalla mia, nostra, Livorno fece stampare il suo libro “dei delitti e delle pene” che ancora oggi è sempre attuale.
Oppure penso alla vedova Schifani che all’indomani dell’uccisione mafiosa di suo marito, trovò il coraggio di perdonare tutti.

Perché. professore, anziché prendere ispirazione da queste persone, prendiamo il peggio e lo eleviamo alla sua versione più rancorosa?

Perché, professore, non riesco più a farmi un’idea su chi mi sta di fronte? Perché l’operaio e il miliardario la pensano alla stessa maniera sui temi che non riguardano il loro portafogli? E perché sui temi che questo portafogli invece lo toccano, nessuno ha il coraggio di schierarsi?
Perché, professore, l’intolleranza ha ripreso piede, nessuno si ricorda più la storia?
Ma quando abbiamo sparato ai barconi, ucciso i mafiosi, respinto i migranti, bullizzato i più deboli e istigato al suicidio i diversi, saremo sazi della nostra sete di vendetta? Ci farà sentire meglio?
Professore, ma se stiamo diventando tutti uguali, non c’è il rischio che diventiamo tutti più poveri?
Che fine ha fatto l’educazione e il senso civico, professore? Lei dovrebbe saperlo, almeno lei.

Io non ci sto capendo più niente. Lei c’ha capito qualcosa, professore?

“Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di troppa conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l’acqua perché annega, che non ripara ai mali che col distruggere. Le leggi che proibiscono di portare armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati né determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e l’esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all’uomo, carissima all’illuminato legislatore, e sottopone gl’innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei? 

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Day 700

Il diritto di dire Cazzate.

Non so bene, di preciso, da cosa derivi questa ondata di reticenza alla vaccinazione.
Quello che non capisco, nello specifico, è perché proprio il tema delle vaccinazioni risulti essere quello che più viene bersagliato dall’opinione pubblica.
Ogni giorno, ogni momento della nostra vita quotidiana, assumiamo sostanze per noi dannose. Entriamo in contatto con materiali potenzialmente cancerogeni, ma su quello non abbiamo niente da obiettare.
Mangiamo frutta che arriva fuori stagione dal Brasile, ci vestiamo con indumenti i cui materiali sono di dubbia provenienza, ai limiti del legale.
Assumiamo farmaci, specialmente quelli senza ricetta, i cosiddetti farmaci da banco, con effetti collaterali disastrosi. Integratori che costano 2 lire e non sappiamo neanche cosa ci sia dentro, ma siccome me lo ha consigliato una persona di cui mi fido, allora non può fare male. Farmaci per il mal di testa, il quale potrebbe passare nel giro 2/3 ore, perché non siamo in grado di sopportare, rendendoci di conseguenza resistenti a quella molecola, il giorno che potremmo averne realmente bisogno.
Ma per i vaccini è diverso.
Tutto mi sarei immaginato, tranne che la malattia del secolo, nell’anno del Signore 2017, fosse la disinformazione legata a doppio filo alla diffidenza.
Proviamo a capirci: nel mondo TUTTI guadagnano o tentano di creare guadagno su qualunque cosa sia in loro possesso che abbia  anche la minima richiesta di mercato.
E’ vero, chi lo fa sulla pelle degli altri, in particolar modo del più debole, merita un girone dell’Inferno tutto suo e, probabilmente, quando un pronipote di Dante Alighieri apparirà sulla terra e scriverà la Divina Commedia Capitolo II, sono sicuro che ci penserà a disegnarne uno speciale per queste persone.
Dobbiamo però provare a scindere, nei limiti della razionalità e del buon senso, due aspetti fondamentali: creare guadagni a tutti i costi non implica forzatamente farlo a discapito di terzi. E’ una possibilità, non è la normalità delle cose.
Di contro abbiamo la possibilità di fugarci ogni dubbio potendo consultare il medico di turno, vicino a noi.
Ripetendo che siamo a circa 6000 anni di evoluzione dalle prime civiltà formatesi sulla terra, abbiamo anche la possibilità di interpellare chi, nel corso degli ultimi anni, è riuscito ad ottenere una laurea in medicina moderna. E fortunatamente il nostro paese ne è ben fornito, ma non si capisce per quale ottima ragione i nostri dubbi vengono affidati alla ricerca su internet.
Internet è l’invenzione più rivoluzionaria dai tempi della ruota, riconoscerlo è la base da cui partire per effettuare un’analisi di senso compiuto, altrettanto vero è che, come ogni invenzione o aspetto della vita, ha i suoi pro e i suoi contro. Tra i pro la possibilità di informazione e comunicazione istantanea ai 4 angoli del globo da parte di qualsiasi individuo bipede senziente (mi ha sempre fatto sorridere questa cosa degli angoli del mondo, ma dal momento che stanno tornando di moda i terrapiattisti, direi che far riferimento ai 4 angoli non sia così insensato.). Tra i contro invece c’è l’apertura a tutti di poter dire la sua opinione, su ogni tipo di argomento da lui conosciuto e non, che prima era confinata nel bar di provincia, che veniva liquidata da un “Gino ma la smetti di dire cazzate dai” e che oggi invece è presa seriamente, perché quelli che leggono non possono sapere che, anche se parla in maniera coinvolgente o provocatoria, quel Gino li è un sotto-acculturato figlio di una convinzione e un pregiudizio impostogli dalla sua terza elementare. O semplicemente un provocatore di natura, che si diverte a scombinare le carte in cerca di visibilità o del suo celebre quarto d’ora di notorietà.

Quello che dobbiamo fare nei confronti di questi impostori della tastiera io non lo so, personalmente credo che un giorno sconteranno tutte queste provocazioni  e questa ignoranza culturale che si trascinano dietro.
Quello che dobbiamo fare, nei nostri confronti, è provare a informarci un pochino meglio. Preferendo canali ufficiali e testate giornalistiche serie. Il fatto che esista un mercato ampio, permette anche di confrontare visioni diverse di uno stesso fatto, che per forza non sia allineato al governo di turno se proprio siamo scettici nei confronti di quest’ultimo, ma che allo stesso tempo mantenga un certo grado di credibilità e serietà.
Oppure informarci e chiedere a chi in questo campo lavora, a chi nel campo della domanda che andiamo a porre abbia esperienza comprovata da studio teorico e empirico.
Insomma, a 17 anni dalla svolta nel nuovo millennio, siamo in grado di poter avere un’opinione indipendente e formata attraverso informazione e conoscenza, che non è istantanea, ma che richiede tempo. Altrimenti se non abbiamo il tempo di informarci, il nostro diritto di parola si trasforma, diventando bensì il diritto di dire cazzate. E mentre il primo è sacrosanto, il secondo non lo è. Il diritto di dire cazzate non ce lo avete. Non è censura: è buonsenso!
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Day 565

Se ti dicessero che 2+2 facesse 5…

Ci sono giorni in cui la vita nel suo quotidiano crea dei controsensi che ti lasciano a metà strada. Come se fossero dei “bug” di programmazione.
Come degli ipotetici asini in un paradosso di Buridano.
Se c’è una cosa che mi crea contrasto interiore non è non avere risposta, ma averne più di una e non essere in grado di capire quale sia quella più corretta. Oppure meno sbagliata.
Non è il bivio. Non è la scelta. E’ limitare i danni.
Provo a entrare nello specifico: nel giro di un mese ho guardato il film “Foreverland” di Max McGuire, in lingua originale perché non è mai arrivato in Italia. E ,poiché quasi obbligato da fattori esterni, l’ultima puntata di Braccialetti Rossi 3, forse è stata proprio la combo di queste due cose che mi ha spinto a questo interrogativo. Forse inutile, sicuramente riflessivo.
Entrambi i video vogliono forse parlare dello stesso argomento, anche se nella forma le basi di partenza sono diverse, salvo poi essere uguali nella sostanza.
Il film, di cui posso parlare meglio, mostra la vita di un ragazzo, di appena 20 anni o poco più, che consapevole della sua malattia, la fibrosi cistica, vive le sue giornate a metà tra la forza di volontà che ti porta a sfinirti di medicine e fisioterapia per andare avanti, unito a un istinto di sopravvivenza che, secondo me, in questi casi tende ad accentuarsi ancora di più rispetto a un individuo per così dire “sano”, e l’altra metà di sé, quella che si abbandona al suo destino, rinunciando anche ai piccoli piaceri che la vita gli mette davanti, seppur frivoli, leggeri o momentanei. La sua vita cambia quando, ricevuta la notizia della morte di un suo amico, riceve un video con le sue ultime volontà nel quale chiede al protagonista di fare un viaggio di migliaia di chilometri per seppellire le sue ceneri nel tempio Do Sol in Messico. Il viaggio lo farà insieme alla sorella dell’amico che gli ha fatto questa richiesta e qui si sviluppa il film. Il film non racconta la verità e dà un pessimo esempio a chi, magari ancora giovane, inizia a prendere consapevolezza, in maniera diretta o meno, del mondo della fibrosi cistica o anche di qualsiasi altra malattia in generale. Non racconta la verità perché durante il viaggio il protagonista fa tutto ciò che un paziente affetto da fc non dovrebbe fare, dorme all’aperto dentro un bosco e poi in riva al mare d’inverno, consumato da freddo e umidità. Rinuncia alle sue cure quotidiane, fatto il salvo per un accenno di fisioterapia totalmente trascurabile, oltre a ulteriori mille inesattezze di carattere tecnico.

Ma la cosa che più di ogni altro ritengo sbagliata, è la mentalità dell’interprete del film che arriva forte e buca lo schermo. Lui intraprende questo viaggio perché non ha niente da perdere, come si evince dal sottotitolo del film che è in copertina, perché pensa che la sua sia una malattia terminale. Perché almeno vuole vivere quel poco che gli resta, fatto salvo il fatto che poi continua a vivere per altri 10 anni e per giunta riesce ad avere anche un figlio. Forse il regista, benché anche lui affetto da fc e quindi ancora più inspiegabilmente, non si è accorto però che così facendo ha toccato 2 punti fondamentali della vita di un paziente fc: le statistiche di età media e mortalità e, di conseguenza, l’esser genitori.
Sapere che la tua aspettativa di vita è 30 anni è una cosa che ucciderebbe il più forte dei pazienti. E’ un trauma che chi lo vive se lo porta dentro per tutta la vita. Ha senso sparare una palla di cannone così pesante in maniera diretta? Il film ha uno scopo educativo o punta solo alla conoscenza della patologia e a finanziare la ricerca, facendo leva sul pietismo della gente comune?

La stessa riflessione mi è nata anche guardando l’ultima puntata della fiction Rai. Non conosco bene quel mondo, dove la vita viene vissuta tra tumori o invalidità tipo la cecità.
Quello che conosco però è il grado di difficoltà di alcune situazioni e l’inesattezza degli ambienti ospedalieri, quantomeno alcuni.

Spesso si vedono queste produzioni destinate alla conoscenza di massa, nelle quali si tende a semplificare tutto, per portare uno spettatore alla comprensione delle difficoltà vissute da chi condivide magari il suo stesso posto di lavoro, il suo condominio o il bar che frequenta. Persone, insomma, che potrebbe incontrare ovunque nella vita di tutti i giorni, ma che si portano dietro un fardello più pesante della media. Quando si vuol far capire alcuni aspetti della vita, per alcuni impensabili, ha senso farlo nella maniera sbagliata? E’ giusto sacrificare parte della realtà per far si che non risulti troppo pesante e quindi assimilabile? E’ giusto romanzare una storia per ricavarne una trama strappalacrime? Anche a costo di risultare offensivi?

In sostanza: se per comprendere un po’ la matematica ti dicessero che 2+2 facesse 5, avrebbe senso studiarla?
La scelta sembra facile e la domanda retorica, ma non lo è. Ed io non so rispondere.
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Day 539

La Vida Tombola

Ieri sera ti ho visto in campo, a 55 anni, ed ho avuto una specie di fitta al cuore.
Si perché vedi non sono riuscito a vederti giocare, ma ti ho vissuto a ritroso.
Quando ormai eri già un ex giocatore e a dirsela tutta non te la passavi neanche bene.
Ti ho vissuto in maniera contraddittoria, come fanno tutti, facendo quella ridicola scissione tra il calciatore e l’uomo.
Ho cominciato a conoscerti che te la prendevi con tutti. Tutti. Dalla FIFA e tutti i suoi presidenti, a tirare giù.
Metà delle volte criticandoti, l’altra metà offendendoti, ma sempre a bassa voce, senza sventolarlo troppo ai 4 venti con la speranza che tu realmente non potessi sentirmi, perché gli altri, quelli che ti hanno visto giocare, dicevano che tu sei la leggenda di uno sport, il MIO sport. E metti che mi fossi sbagliato su di te, immagina che figura ci avrei fatto.
Ho cominciato a conoscerti quando, davanti alla televisione, durante il primo mondiale vissuto da bambino di neanche 10 anni più o meno cosciente e più o meno consapevole di quello che stava vedendo, la polizia ti stava scortando fuori dal campo e mi hai fatto pensare:”e quello è il più grande di sempre?”
Poi cresco e inizio a giocare a calcio in maniera sempre più seria, più agonistica e ogni volta che facevo qualcosa di bello, o più facilmente qualcosa di straordinariamente catastrofico, il paragone era sempre con te, sia in negativo che in positivo. Al contrario in televisione durante le partite di calcio, quando qualche nuovo talento usciva, il paragone non era mai con te. Era con Van Basten, era con Platini, era con ogni mostro sacro del decennio o ventennio passato, addirittura anche con George Best, ma mai con te. Non ho mai sentito nessuno paragonare un calciatore a te e ne sono passati tanti.
Così arrivo intorno ai 16 anni, siamo già nel nuovo millennio e internet apre le porte a ogni tipo di file multimediale conosciuto. Oltre che a ogni tipo di informazione.
E allora ti vai a leggere la storia di quello che gli altri definiscono “il più grande di sempre”.
Ti vai a vedere quello che ha fatto e quando l’ha fatto. E vedi cose che anche solo descriverle è impossibile. E t’innamori.
T’innamori dei gol fatti con l’Inghilterra nel 1986. Entrambi, anche quello di mano, perché chiunque abbia fatto uno sport di squadra, sa che se si fosse trovato al suo posto avrebbe fatto lo stesso. Non mi piace chi fa il furbo in campo, ma la malizia fa parte del gioco e chi non lo capisce non ha mai praticato uno sport in maniera vincente.
T’innamori di quei gol fatti al volo da qualunque posizione del campo che va dal limite dell’area al calcio d’inizio, tre palleggi e tiro in porta.
T’innamori dello sguardo impotente di un portiere, che arrabbiarsi neanche vale la pena.
T’innamori di un dribbling secco e di un pallonetto fatto con la maglia del Boca jr. e del Barcelona.
T’innamori dell’inutilità di ogni difensore, che fosse da solo o a difesa schierata, di fronte ad un altro atleta che giocava con un piede solo, ma che nonostante questo era comunque superiore in quanto a talento, conoscenza del gioco e intuizione.
A volte mi sono chiesto come mai tu abbia usato un piede soltanto nella tua carriera, poi ho capito che forse è stato meglio così, pensa se tu avessi imparato a usarli entrambi che noia sarebbe stata.
E infine t’innamori ,e li lo fai perdutamente, quando vedi il gol alla Juventus, durante una punizione da dentro l’area di rigore.
E proprio quando pensi che non puoi innamorarti di più, trovi anche i video di quando eri bambino, di quando palleggiavi con un’arancia montando le scale di casa.

Sei una leggenda e ora ho capito perché.

Ho capito perché scindere l’uomo dal calciatore è semplicemente ridicolo. Hai vissuto sotto una pressione mediatica e popolare che nessuno prima di te ha mai avuto. E forse neanche dopo. Giocavi quando stavi bene ed eri superiore a tutti. Ti hanno obbligato a giocare quando stavi male ed eri comunque superiore a tutti.
Sei diventato un Dio nella città dei santi.
Sei diventato un Dio nel tuo Paese anch’esso religioso e devoto oltremisura.
Dove in entrambi i casi, la gente del luogo, vive di calcio in un moto costante e continuo di passione, sangue e cuore.

Ma si sono scordati, davanti al tuo talento, che un Dio non sei. Che non sei immortale e che anche te hai i tuoi punti deboli. I nostri sono chiusi nelle nostre stanze, i tuoi erano in piazza, alla mercé di tutti.
Abbiamo come idoli: Jimy Hendrix, Elvis, Jim Morrison, Michael Jackson, Janis Joplin, persone che hanno fatto degli eccessi il loro stile di vita e quando parliamo di musica non possiamo anche solo pensare a qualcosa di equiparabile a loro e poco importa se in vita erano un pessimo esempio per tutti. Con te però non ha funzionato così. Chissà perché. Con te si continua a fare le pulci all’uomo, come se fosse stato l’uomo a rendere famoso il calciatore e non viceversa.

Non importa cosa ti diranno in futuro, e forse non importa neanche a te, so solamente che quando provo a palleggiare con un pallone spero sempre un giorno di arrivare ad accarezzarlo come solo tu sei stato in grado di fare. Continuerai a dire la tua, a esprimerti dicendo quello che pensi come tutti, a volte dicendo qualche verità a volte qualche sfondone, perché alla fine sei un uomo. Un uomo che giocava dannatamente bene, ma un uomo.
Rimarrai sempre il grande rimpianto, di colui che è nato appena 10 anni dopo e che non è riuscito ad apprezzare la tua grandezza in diretta. Ma che alla fine ti è grato per ciò che hai trasmesso al mio sport.
Perché la Vita è una Tombola Diego e tu questo lo sai bene..
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Day 519

Colpa delle stelle?

Oggi leggo la notizia della scomparsa di Katie Prager. Che segue di qualche giorno quella di Dalton Prager. Il marito.
La loro storia è particolare e, se devo riassumerla in poche righe, come è giusto che sia parlando di due persone che non si conoscono, è qualcosa a metà tra l’amore, il destino e l’incoscienza.

L’amore:

perché i due si conoscono su facebook, parlano, si conoscono e si affezionano l’uno all’altra forse per i propri interessi, forse perché sono due caratteri simili o complementari, ma anche e soprattutto (a parer mio) perché entrambi lottano una loro battaglia, contro il nemico comune, dalla stessa parte della barricata. Il nemico comune ha un nome e un cognome: Fibrosi Cistica.
Sembra banale che due che hanno la stessa patologia abbiano, quantomeno, la scontatezza di trovarsi a lottare contro di questa nello stesso modo, dalla stessa parte. Non è così. Le interpretazioni e gli atteggiamenti mentali nei confronti di un ostacolo sono diversi per chiunque, in qualunque momento del giorno e della vita, in generale.

Il destino:

perché è difficile innamorarsi. E’ difficile per chiunque che sia malato, sano, folle, genio, stupido, bello, intelligente, stupido o riprovevole.
Ed è ancora più difficile quando ti senti in ritardo nei confronti della vita, quando il tuo senso di giustizia è minacciato dalla tua salute, quando la paura a volte avrebbe più senso di un’inspiegabile apparente tranquillità.
Eppure a loro è capitato. Nonostante la distanza, nonostante le paure, nonostante ogni cosa nell’universo provasse a spiegar loro che “quel matrimonio non s’ha da fare”. E loro come due moderni Renzo e Lucia hanno deciso che gli unici che potevano essere padroni delle loro scelte, potessero essere loro due e soltanto loro due.
Probabilmente fossero nati in un momento storico diverso avrebbero avuto maggiori difficoltà di incontrarsi, ma se c’è una cosa che una canzone come Samarcanda ci insegna, quando il destino ha deciso che quel giorno tocca a te, tocca a te. Che sia una cosa piacevole, che sia spiacevole o che sia una la maschera dell’altra. Semplicemente devi accettarlo e una cosa che loro hanno saputo fare è stato proprio questo.

L’incoscienza:

perché chi ha questa malattia lo sa. A volte ti senti privato delle cose più banali, a volte ti senti stanco senza motivo, a volte vorresti solo un attimo di pace, buttare fuori tutta l’aria e poi respirare a pieni polmoni. Non chiedi altro. Ma sai anche che non puoi. Allora cerchi una rivincita nelle cose di tutti i giorni, cerchi di dimostrare a te stesso che non sei da meno degli altri, che non vali di meno, anche quando nessuno te lo chiede. Perché l’autostima è minata, la sensazione di sfiducia è dietro l’angolo e quando puoi, che riesci a vincere o anche solo a pareggiare, in una piccola piccolissima cosa della giornata, avresti solo voglia di dire: “stavolta non hai vinto, allora chi è il più forte?”
Ma proprio perché sei in questa costante situazione di “inferiorità numerica”, per prendere una citazione sportiva, che sai che non ti puoi permettere di prenderti troppe libertà, che la tua missione a volte è solamente cercare un percorso alternativo per raggiungere la tua meta di normalità, il tuo risultato più grande. E purtroppo non è semplice. E purtroppo devi fare sacrifici e privarti a volte anche delle cose più belle, per cercarle in altre forme, in altre emozioni, in altre persone.
Purtroppo innamorarsi e voler vivere a contatto con una persona che ha il tuo stesso problema patologico, la cui vicinanza l’uno all’altra, soprattutto in fase intima, è anche il suo pericolo più grande, quello non credo sia più coraggio. Credo che il coraggio abbia lasciato il passo all’incoscienza.
Credo che a volte caricare a testa bassa sia un errore. A volte il senso di tutto questo è fare un passo indietro. Rinunciare a una cosa bella per cercarne una che è forse più bella, ma sicuramente diversa e meno sofferente per te o per la persona che ami, come in questo caso.
E’ con la morte nel cuore che penso anche che questa scelta sia stata un errore per 4 persone. Perché chi riceve un organo ha la possibilità di avere un altro giro di roulette e se questo vi sembra poco, chiedetelo a quelli che questa possibilità non l’hanno avuta. Ma l’hanno concessa ad altri. Un sacrificio che puoi solo onorare, ma che rischi a volte di cestinarlo, per l’inconsapevolezza o proprio incoscienza di una scelta che ha più aspetti negativi che positivi.
Nessuno ha il diritto di giudicarli, hanno scelto e pagato per le scelte che hanno fatto e hanno lasciato al mondo una bella storia d’amore, forse più utile per un film o per un libro, per far innamorare della vita un adolescente che comincia a conoscere il mondo o un adulto che ha smarrito il senso del voler bene alla vita. Ma non utile per loro stessi, non utile per chi ha fatto loro un dono. Però ripeto, la scelta che hanno fatto l’hanno pagata in prima persona. Adesso riposate in pace. E insieme.

P.S.
Ho letto, su giornali nazionali e blog, che questi ragazzi sono morti per la fibrosi cistica e dare una descrizione sommaria di cosa sia questa patologia.
Capisco le esigenze di pubblicazione, capisco le esigenze di redazione e il bisogno di dare alcune notizie perché i clickbait sono utili per le pubblicità, ma ci sono persone che in questa realtà ci vivono e ciò che è stato scritto è una mezza verità, scritta in maniera anche sensazionalistico e romantico, ma non completamente vero.
Sarebbe come dire che Ayrton Senna è morto per la velocità, che Freddy Mercury è morto perché gay o che Amy Winehouse è morta perché beveva. Non c’è niente di falso. E’ solo tutto sbagliato.colpa-delle-stelle-locandina

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Day 513

SocialBestie

Siamo bestie da social network. Cioè in generale siamo bestie, incapaci il più delle volte di rapportarsi civilmente, nella vita di tutti i giorni, con le persone. Siamo scostanti, presuntuosi, egoisti. Siamo gentili, se ci torna comodo, ma riflettendoci ”a me quello li sta sui coglioni”.
Con l’avvento dei social si è sviluppato poi quel meccanismo, che rende una bestia ancora più stronza. Si è sviluppato l’anonimato. Anzi, neanche l’anonimato, l’invisibilità. Tu sei li perché magari, se sei tra i più coraggiosi, sei presente con nome e cognome, ma in realtà non ci sei. E cosa c’è di più bello di una bestia, incapace di provare la benché minima sensibilità verso chicchessia, di poter sputare giudizi senza incorrere nelle conseguenze?

Ci permettiamo di giudicare, ma non vogliamo essere giudicati. E per questo siamo ipocriti.

Siamo ipocriti quando siamo fascisti, perché offendiamo il ”negro” sempre alle spalle e mai in faccia.
Siamo ipocriti perché io non sono omofobo, perché ho tanti amici gay e pensate: ci parlo pure. Però se cortesemente andate da un’altra parte a baciarvi…..senza rancore eh.
Siamo ipocriti perché siamo cinici e spietati e non abbiamo paura di esprimere un concetto, perché innanzitutto non ha conseguenze e poi perché fa ”figo” fare gli anticonformisti ad esempio sulla morte, non rendendosi conto che siamo la parte più becera e mediocre del conformismo.
Siamo ipocriti perché questa settimana sono successi due fatti di cronaca nera, uno importante, uno di riflessione.
Sono morti un ex Presidente della Repubblica e una Donna.

Siamo ipocriti nei confronti del PdR perché parliamo senza sapere, faccio un giro su Fb e nei commenti dei link che riportano questo fatto, si legge ogni tipo di schifezza:”speriamo bruci all’inferno”,”e uno”,”più sono infami più tardi muoiono”,”dispiace solo che non si sia portato dietro Napolitano” etc etc.
Mi fanno schifo questi commenti perché mancano di rispetto a chi nella sua vita ha provato a scegliere, a metterci la faccia, a cercare di produrre qualcosa di buono per il paese, ma soprattutto e questo deve essere sottolineato, si è preso le responsabilità di fronte a una nazione di intera delle conseguenze delle sue scelte, quanti possono dire di aver fatto lo stesso in vita sua? Come quel verso di quella canzone: ”Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore.”
A quanto pare invece, lo si giudica. Eccome se lo si giudica.

Pochi giorni prima invece è morta una donna, che non si sa per quale motivo, è riuscita a mettere d’accordo un paese intero, con la sua dipartita. Al contrario del personaggio citato prima, questa donna NON ha affrontato le conseguenze delle sue scelte. E’ stata irrispettosa nei confronti di chi le stava vicino, ha tenuto una serie di comportamenti che in una società forse sbagliata, sapeva che non erano accettati. Giusto o sbagliato che sia, non è il momento ora di dirlo, sapeva quali erano le conseguenze delle sue azioni. Ma lo ha fatto. Per 6 volte. E poi? poi è stato difficile gestire la pressione delle proprie azioni. Chiunque abbia giudicato questa donna è indiscutibilmente una merda, senza il minimo dubbio. Ma resta il fatto che consapevole delle proprie scelte, ha preferito scappare piuttosto che affrontare le proprie colpe. Riposa in pace e che il tuo gesto possa servire da lezione, ma perdonami se penso che nei tuoi confronti si sia scatenata una solidarietà ipocrita, di chi prima ti ha giudicato e sfruttato e poi, morso dai sensi di colpa, abbia cercato di lavarsi la coscienza.

Santifichiamo il pavido per affossare chi invece si è mostrato in prima persona.
Solidarizziamo per sgravarsi il peso di dosso di una storia in cui quasi tutti hanno preso parte, per augurare i peggio tormenti a chi (forse) ha sbagliato nelle sue scelte addossandogli una colpa di una situazione del paese e di uno stile di vita che non ci piace. Nessuno però è infallibile. Ma questo tendiamo a scordarcene.
Tendiamo a scordarcene quando conosciamo l’infermiere che ci fa saltare la coda al poliambulatorio.
Tendiamo a scordarcene quando il cugino poliziotto ci leva la multa.
Tendiamo a dimenticarcene quando l’amico riesce a piazzarti in un lavoro che forse non dovresti fare.
Consapevoli che queste piccolissime cose, forse, sono l’origine dei problemi enormi che ci attanagliano. Il classico battito di ali di farfalla che provoca l’uragano dall’altra parte del mondo.
E’ per questa consapevolezza che siamo ipocriti. Ma da bravi ipocriti tendiamo a colpevolizzare qualcuno che forse c’entra il giusto.
“Perché nessuno è infallibile a parte me, ovvio.”

Siamo ipocriti perché non abbiamo rispetto di niente e di nessuno, neanche della morte. Come da tradizione delle bestie.
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Day 477

L’errore di una vita.

Negli ultimi giorni, c’è una volontà che mi gira in testa e vorrei aver le qualifiche necessarie per poter compierla. Intervistare Alex Schwazer. Ma neanche intervistarlo, averlo vicino per poter fare lui un paio di domande, anzi forse solo una: “Alex, scusami se ti do del tu, siamo coetanei, ma perché ti sei dopato?”
Si, lo so bene, è una domanda banale e a tratti anche un po’ stupida, ma continuo a chiedermi: perché?
E’ la chiave di tutto, è quello che non capisco e non capirò mai. Se come è vero chi sostiene ciò, ovvero che non ti sei dopato per vincere, allora perché?
Intendiamoci, un motivo ci sarà. E lasciamo stare la favola del “ragazzo che non è in grado di sopportare il peso del proprio talento”, quando uno è in grado di tenere la testa lucida per 50km di marcia e vincere un oro alle olimpiadi, non può essere la fragilità mentale ed emotiva il suo tallone d’achille.
E allora perché?
Questa domanda anche un po’ stupida, come detto, è però matrice di riflessioni e dubbi. E a pensarci bene non è neanche una domanda. E’ un rimorso. E’ un “se si potesse tornare indietro”, perché con quella cazzata, con quella maledetta volta che hai cercato di fare il furbo, li ti sei compromesso per sempre.
Sarai sempre quello che verrà ricordato associato al doping, sarai quello che ha perso tutta la credibilità in un colpo solo, davanti a comitati, tribunali, federazioni, bar, olimpici o meno.
Ho visto il documentario che Repubblica.it ha pubblicato in tua difesa, per il tuo riscatto e mi cresce ancora di più la rabbia, perché saresti stato un atleta fantastico.
Io ti dico la verità: penso anche io che la seconda volta ci siano state cose molto poco chiare, ben oltre la legalità e il principio di sportività che il CIO e che le olimpiadi in generale vogliono trasmettere. Quella farsa legata all’aforisma dell’ormai famigerato barone De Coubertin, perché non ricordo una sola olimpiade dove la politica non l’abbia fatta da padrona sullo sport, perché gli scandali a ridosso della manifestazioni sono sempre da prendere con le molle.
Penso anche io che ci siano sistemi che avresti potuto smantellare con una vittoria. Penso anche io che probabilmente il bersaglio di tanto accanimento sia anche e soprattutto il tuo allenatore.
Però penso che il tuo riscatto sarebbe dovuto passare da altre strade, che non quella dorata di ingresso delle olimpiadi. Penso che probabilmente il tuo doparti ti abbia permesso un accesso alla gara che anni fa non avresti meritato e che forse ha penalizzato altri in favore tuo. Penso che tutti abbiamo diritto a una seconda occasione, ma in alcuni casi non sia giusto che sia grande tanto quanto la prima.
Il tuo percorso di redenzione avrebbe avuto più successo e ti saresti forse fatto meno male con un più basso profilo. A volte da certi errori non si torna indietro, per me, in via del tutto opinabile e quindi in quanto tale contraddicibile in ogni momento, non sarebbe stato giusto nei confronti di chi ha sempre sudato, senza cercare scorciatoie.
La vita però non finisce qui, non si ferma davanti a un’olimpiade e sono sicuro che sarai capace di rialzarti in un altro modo, con tutta la tua forza. Senza 5 cerchi, ma con una tua diversa maturità.
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Day 435

Come with me for funny in Dune Buggy

Da giovane, e per certi versi anche un po’ ora, ho sempre avuto una visione piuttosto ugualitaria della vita. Non mi piacciono le discriminazioni, non mi piacciono i favori, non mi piace la prepotenza, non mi piace quando qualcuno non riesce a capire che la vita, per come la guardi, per quanto tu possa girarla e rigirarla, alla fine è sempre una ruota. In qualche modo ti premia quando te lo meriti, in qualche modo ti annega quando meno te lo aspetti, sempre se te lo meriti.
Però in mezzo a tutta questa uguaglianza, qualcosa che ci distingue gli uni dagli altri c’è, è ovvio che ci sia, e spesso questa differenza, questo margine, più che nelle qualità derivanti dal grado sociale, dal luogo di nascita o chissà quale altro parametro, è da ricercarsi nella personalità.
E’ inutile negare che ci siano personaggi più carismatici di altri, che a parità di cose fatte da entrambi, uno spicca di più rispetto all’altro. Ci sono personaggi che quando “se ne vanno” lasciano un vuoto diverso, più di dispiacere che di dolore, perché magari in vita sono stati un punto di riferimento, grazie a una società sempre più globalizzata, di generazioni e di famiglie. Ci sono persone che quando “se ne vanno”, anche quando non le conoscevi, riescono a farti crescere. Ci sono personaggi che “quando se ne vanno”, la terra sembra che per un istante, uno solo, piccolo e interminabile momento, si fermi.
Questa immagine di immobilità mi è arrivata forte e chiara lo scorso lunedì, quando ho appreso della morte di Bud Spencer. E quella sensazione, quel vuoto “diverso”, mi è salito immediatamente. Non so spiegare il perché di tutto questo, se non ricercandolo nella sua presenza scenica, che ti colpisce subito al primo sguardo, che ti fa innamorare di un personaggio e quando poi cerchi di scoprire chi c’è dietro a quel personaggio, leggi la biografia di un uomo che merita solo tanta stima. Ecco il vuoto che avverto è che da questo mondo se n’è andato un dei “good guys”, se ne è andato uno che stimavi, se n’è andata sopratutto una grande personalità.
Rimarrà in eterno il suo personaggio, il suo Bambino in trinità, il suo Bomber, il suo Bulldozer, il suo Ben che io eviterei di far arrabbiare. E riderò come sempre, come fosse la prima volta quando sentirò di come fare per fermare il Maggiore e la banda di Mescal, quando canterò bulldozer, quando risponderò “osvaldo” se mi chiederanno di farmi barba o capelli, quando vedrò qualcuno magrissimo penserò a “poker d’ossi” e quando dirò “Ancora no..” davanti a qualche furbo. Penserò a lui e a quei film carichi di insegnamenti. e risate. E penserò che comunque, anche se non c’è più fisicamente, di sicuro ha lasciato traccia anche della sua vita privata e sono certo che non è passato invano!!

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Day 383

Come sarebbe bello dire ”per caso”? Tu credi che ci sia davvero qualcosa che succede per ”caso”?  (Baricco)

Ci sono articoli che vanno letti piano.
Con calma.
Respirando.
Pesando le parole.
E questo perché ci sono situazioni che se non le hai passate non le puoi capire.
Ci sono storie che quando le racconti, non ti credono.
Ci sono storie che quando le racconti, non riesci a spiegarle nella sua profondità. E a dirsela tutta è già un traguardo quando ne scalfisci la superficie.
Ci sono momenti che ti senti contro tutto il mondo. Oppure tutto il mondo a favore, ma non credete che sia un vantaggio.
Ci sono tanti modi di vivere un periodo difficile, ma difficile realmente, il primo è pensare che il destino ti voglia affossare, il secondo è che ti voglia rendere più forte, la forma non cambia, la sostanza si.
Ci sono bufere che capitano solo a chi ha spalle larghe a sufficienza per affrontarle.
Ci sono proiettili che sei in grado di schivare.
Ci sono frecce che non puoi.
Altre non vuoi.
Oggi ho letto di una ragazza, o forse di qualcuno fuori dal comune, di una donna che è stata in grado ad appena un anno oltre la maggiore età, di affrontare non uno, ma un doppio trapianto bi-polmonare.
Questa è una di quelle storie. Una di quelle cose che ti lasciano lì, a minuti interi, lunghi come giornate, a riflettere.
A darti delle spiegazioni, come se esistessero.
Questa è una storia di fragilità. Questa è una storia di una persona che non aveva scelta.
Ma questa è anche, e soprattutto, una storia di una persona che ha scelto.
Questa è una storia di una persona che, guardala bene negli occhi, perché leggerai ed entrerai in uno sguardo che si traduce in una sola parola: invincibile.
Non è invincibile perché ha sconfitto il suo destino, no.
Quelle sono cazzate.
E’ invincibile perché ha capito quando era il momento di fermarsi. Di prendere tutte quelle legnate che doveva prendere. Di sentire il dolore. Quello vero. Quello che non è fisico.
E poi ha capito anche quando era il momento che quelle botte erano finite e toccava a lei, questa volta, darle di santa ragione.
Chi non conosce la fibrosi cistica può provare a immaginarlo.
Può provare a essere solidale e pensa, qualcuno ci riesce anche. Ma è come immaginare di essere sdraiato su una spiaggia caraibica ed esserci davvero. Puoi pensare di capirne le sensazioni fino in fondo, ma non arriverai mai a quella profondità di sensazione o di emozione. Stessa cosa per quella patologia. Soltanto in negativo.
Leggete la storia di questa ragazza e prendetela a esempio. Non cercate di afferrarne il senso, perché non ha senso tutto questo. Non può averlo in una ragazza di neanche vent’anni.
Ma le ha dato un senso lei.
A volte nella vita basta soltanto restare in piedi e ti dirò, forse non lo immaginerai mai, ma credimi quando ti dico che è la cosa più difficile del mondo.
E’ tutta lì, forse, la vita. Vincere la voglia di andare giù, restare lì. Anche a farsi colpire.
Ma restare lì. Anche farsi colpire forte. Ma restare lì.
Te lo dice una Donna di 19 anni. Te lo dicono queste storie.

Doppio retrapianto di polmone al policlinico di Siena
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